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    il clima

Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di Studi Polari presso il CNR, ci aiuta a tenere viva l’attenzione sui cambiamenti climatici

L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia COVID-19 ha temporaneamente messo in secondo piano l’altra importante emergenza globale della nostra epoca, rappresentata dal riscaldamento globale e dal relativo cambiamento climatico. Il tema rimane tuttavia di assoluta rilevanza e non deve essere dimenticato in quanto, al pari di una pandemia, comporta conseguenze pesanti per il futuro della nostra civiltà e del nostro modello di sviluppo. Carlo Barbante, professore ordinario di Chimica Analitica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore dell’Istituto di Studi Polari presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ci aiuta a tenere viva l’attenzione sulle questioni riguardanti il clima, rispondendo ad alcune domande sul presente e sul futuro della ricerca scientifica in questo ambito.

Cosa significa oggi fare ricerca sul clima e quanto è difficile farlo in considerazione del forte dibattito aperto attorno a questo tema?
Penso sia una vera missione ed una sfida al tempo stesso. Una missione, poiché ne va del nostro futuro ed una sfida, poiché i temi legati al clima sono spesso molto complessi.

Siamo costantemente bersagliati da informazioni sulle questioni ambientali, sui rischi derivanti dai cambiamenti climatici e spesso spaventati da scenari apocalittici o distratti per effetto delle tesi negazioniste. A che punto siamo con la ricerca?
L’impatto delle attività antropiche sul clima è oramai provato da moltissimi studi. Non ci sono dubbi; l’uomo sta alterando l’ambiente ed il clima in maniera pesante ed irreversibile. Dobbiamo comunque ancora capire molte cose riguardo ai processi climatici, all’impatto sulla biodiversità e alla risposta delle aree più vulnerabili del pianeta.

Si sente spesso dire che la zona del pianeta in cui si avvertono maggiormente gli effetti del surriscaldamento globale sia il polo nord. Qual è il motivo?
Le are polari sono estremamente importanti per la regolazione del clima della terra. Sono allo stesso tempo molto influenzate da quello che succede alle basse latitudini. Mentre la temperatura superficiale media della terra è aumentata di poco più di un grado centigrado, nell’Artico la temperatura è aumentata di più del doppio, a causa di effetti di amplificazione del riscaldamento. Questo ha delle conseguenze drammatiche, oltre che sulla biosfera anche sulla fusione dei ghiacci marini e continentali, che impattano in maniera importante sull’innalzamento del livello del mare.

E per altri ecosistemi, tipo le Alpi o l’Himalaya, come sono le condizioni e cosa ci dobbiamo aspettare nel prossimo futuro?
I ghiacciai delle Alpi e dell’Himalaya sono considerati le sentinelle dei cambiamenti climatici. Sono estremamente vulnerabili. Alcuni modelli climatici indicano che per la fine di questo secolo la maggior parte dei ghiacciai delle Alpi sarà sparita a causa del riscaldamento globale. Questo avrà delle importanti conseguenze anche sulla disponibilità della risorsa acqua

In poche settimane di lockdown molti hanno osservato “la natura riprendersi i suoi spazi”. E’ vero o si è trattato solo di una suggestione creata per effetto della particolare situazione?
Diciamo che è stato un inaspettato effetto positivo di questa drammatica emergenza. Ma non illudiamoci; quando alla fine supereremo la pandemia di COVID-19, il sistema economico ed il tessuto sociale dovranno ripartire. Naturalmente l’uso delle risorse per riattivare il sistema produttivo del pianeta sarà posto sotto forte stress.

Può esistere una correlazione tra le dinamiche climatiche e lo sviluppo della pandemia COVID-19 o si tratta solo di ipotesi fantascientifiche?Non ci sono evidenze scientifiche su questo aspetto. Tuttavia, a preoccupare maggiormente gli scienziati è la possibilità che alcune malattie possano migrare, si modifichino o evolvano a causa del riscaldamento del pianeta. Oggi chi vive a Roma o a Venezia non si preoccupa molto della diffusione della malaria o della febbre dengue, ma con la lenta deriva verso settentrione della zona tropicale e la conseguente diffusione delle delle zanzare portatrici delle malattie dovrà forse cominciare a farlo in futuro.

Il progetto “Ice Memory”, lanciato ormai oltre tre anni fa con l’obiettivo di raccogliere campioni di ghiaccio in vari siti glaciali nel mondo per creare una banca dati in Antartide, rappresenta una grande impresa scientifica. A che punto è il progetto?
Il progetto sta procedendo bene, nonostante abbiamo avuto alcune difficoltà create dal maltempo in autunno che ci ha costretto a posticipare una missione sul Grand Combin e la crisi legata all’emergenza COVID-19 che ci costringe a casa.

Com’è composto il team di ricercatori che partecipano al progetto?
Abbiamo giovani molto motivati e con competenze molto diversificate; chimici, geologi, fisici, tutti con una sconfinata passione per la montagna ed uno sguardo sul futuro.

Quali sono i prossimi passi “sul campo”?
Dobbiamo tornare al più presto sul Grand Combin e poi effettuare alcune missioni in ghiacciai di bassa quota, come la Marmolada ed il Calderone, sul Gran Sasso, il ghiacciaio più meridionale d’Europa.

Nel mondo dell’outdoor la sensibilità nei confronti del rapporto uomo – ambiente è apparentemente molto elevata, sia sul versante dell’industria che su quello dell’utilizzatore dei prodotti. Ci sono delle raccomandazioni che, come scienziati, vi sentireste di fare al mondo dell’outdoor per una efficace sinergia tra mercato e mondo della ricerca?
Penso che il mondo dell’outdoor dovrebbe supportare progetti scientifici che mirano alla sostenibilità. E’ possibile fare molto anche con molto poco. Sarebbe una situazione vincente per tutti.

Quali sono oggi, realisticamente, le prospettive per un giovane appassionato di scienze naturali che intenda dedicarsi alla ricerca in campo ambientale?
La passione e la determinazione la fanno da padrone. Moltissimi giovani hanno compreso come la crisi climatica sia la vera sfida del futuro. Ecco una grande possibilità che si presenta alla società moderna post COVID-19, è quella di cercare di ricostruire i propri sistemi sociali ed economici per renderli migliori, più resilienti e meno dipendenti dalle fonti fossili. Salute, equità, protezione dell’ambiente e delle risorse saranno essenziali per rianimare l’economia globale post-pandemia.

La mia calzatura

Per le attività più impegnative in alta quota nei ghiacciai o nelle regioni polari Carlo Barbante e molti dei ricercatori del suo staff utilizzano il modello Hayatsuki GTX.



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